Il mestiere del truccatore professionista spesso appare poco chiaro a chi non è del settore. Nonostante i possibili fraintendimenti rimane tuttavia un ruolo in grado di suscitare grande curiosità: di cosa si occupa esattamente un make up artist sul set cinematografico? Come interagiscono tra loro i diversi reparti artistici? Quanto è importante una buona progettazione e un buon team di lavoro?
La nostra rubrica PRO nasce proprio dall’esigenza di rispondere a queste e a molte altre domande, mostrandovi l’intero quadro di lavoro dal punto di vista di chi ogni giorno lo vive in prima persona. Per questo motivo abbiamo deciso di dedicare un intero spazio del nostro giornale alle interviste dei professionisti così da regalarvi in ogni numero le sensazioni e le emozioni di chi lavora nei backstage dei film, serie tv ed eventi del momento!
Il nostro terzo appuntamento vede protagonista Raffaele Squillace, International Beauty Designer e prestigiosa firma del Fashion System. Operando da moltissimi anni nel campo della bellezza, ha collaborato con le più importanti maison nazionali ed internazionali dell’Alta Moda, distinguendosi come eccellenza del Made in Italy per l’eclettica creatività artistica e comunicativa. Ad oggi punto di riferimento per aziende, celebrity e kermesse dedicate al mondo della moda e dello spettacolo, trasmette la propria conoscenza ed esperienza insegnando nelle più prestigiose accademie del settore.
Ci ha emozionato con i racconti e le suggestioni che solo una voce così autorevole può trasmettere, mostrandoci la moda sotto luci diverse da quelle abbaglianti delle passerelle.
Ci ha descritto un mondo patinato che rivela solo a chi lo vive con amore e passione, tutta la sua cultura e potenza comunicativa. Lasciate dunque che Raffaele, per un attimo, spenga quelle luci anche per voi.
Ciao Raffaele, grazie mille per aver accettato il nostro invito.
Siamo molto curiosi: come inizia il tuo percorso artistico?
L’inizio della mia professione o meglio della mia passione, nasce da bambino, da molto giovane; mi divertivo infatti a sfogliare le riviste di moda quasi inconsciamente, perché da bambino si ha un po’ quell’innocenza inconsapevole, sebbene avessi però già l’occhio puntato sempre lì, nel catturare il dettaglio.
E forse è stato proprio il dettaglio che mi ha portato nel tempo a vedere oltre. Crescendo poi sono stato sempre appassionato di tutto ciò che concerneva il mondo dell’arte, tanto è vero che gli studi mi hanno portato dapprima ad un liceo artistico e dopo ad un istituto d’arte con indirizzo scenografico. In seguito tutto d’un tratto ho un po’ accantonato la visione scenografica di quello che era il reparto accademico e universitario e mi sono diciamo “illuminato”, un po’ spinto dal mondo dei colori, attraverso l’arte del make up.
Negli anni però, nella costruzione del mio lavoro, ho notato che quella passione, o meglio quella disciplina non esaudita della scenografia mi ha portato a diventare quasi scenografo di me stesso, soprattutto nella gestione della mia vita lavorativa.
Quindi posso solamente dire che è una passione che è nata man mano e che ho coltivato sempre di più tramite l’arte e la filosofia del bello. Anzi se c’è una definizione che è proprio natìa della mia passione è sicuramente quella di cogliere l’essenza del bello in ogni cosa.
Ad oggi sei un beauty designer di grandissimo successo, come e perché ti sei avvicinato soprattutto al mondo del Fashion System?
Allora ad un certo punto del mio percorso di vita mi sono ritrovato a un bivio, a fare delle scelte, come poi capita ad ognuno di noi: se scegliere la parte prettamente artistica, più monotematica o la parte artistica settoriale magari più cinematografica. Ognuno di noi poi, se ha la vena artistica, sceglie per sé la giusta linea da seguire; io personalmente sono stato sempre attratto e trasportato da tutto quello che era il settore delle sfilate, da tutto quello che era il palinsesto del fashion system, quindi fin da piccolo mi sono sempre immaginato all’interno dei backstage delle sfilate.
A questo proposito ricordo un viaggio che feci con i miei genitori quando ero pressoché adolescente, forse quindici o sedici anni: ero a Firenze e ho ancora nella mente l’immagine di questi truccatori vestiti di nero con i loro beauty, ecco io ricordo che già lì, immedesimandomi in loro, ho cominciato a pensare che il lavoro che volevo fare forse era proprio quello. Però poi uno pensa e si dedica ad altro, è un po’ come il bambino che sogna di fare l’astronauta ma le cose intanto passano e chissà quanti altri mestieri si inventa.
La mia però non è stata una decisione esterna, ma più interna, perché ero sempre più vicino, sempre più attaccato a quel mondo, a quel fruscìo, come lo chiamo io, di backstage dove tutti i rumori e tutti i suoni diventano poesia. Per me il backstage è una grande vibrazione, una grande adrenalina, quella adrenalina che ti fa vivere di emozioni, perché la moda è sì qualcosa di estremamente dinamico e tutti i settori forse lo sono, ma il vero racconto è che sotto questo grande sistema che si può considerare un po’ effimero, c’è tanta cultura e tanta sapienza.
Ormai il concetto di bellezza non fa più riferimento a canoni estetici standard, ma sempre di più viene ricercato in modelli e stereotipi diversificati. Pensi che il mondo della moda sia diventato più inclusivo e accessibile da questo punto di vista?
Certamente la moda vive da sempre dei progressi, se poi parliamo di concetto di bellezza, quello tradizionale degli anni novanta proponeva sicuramente una bellezza iconica, quasi irraggiungibile. Oggi invece siamo abituati, ed il sistema stesso è abituato, ad una bellezza più concettuale.
La bellezza concettuale è qualcosa che va aldilà della bellezza di canone, è quella che racchiude l’armonia dei lineamenti che esprimono un dettaglio. Quindi chiaramente col tempo in tantissimi fashion show e campagne pubblicitarie sono state molte le scelte azzardate, futuristiche e se vogliamo dire anche provocatorie, dei diversi stilisti e maison.
E non a caso punti di riferimento che prima erano considerati non belli, oggi sono bellissimi; pensiamo ad esempio a quelle modelle all’inizio non considerate ma poi diventate veramente iconiche, come, per citarne una, la modella famosissima con la vitiligine Winnie Harlow o ancora l’androgino per eccellezza, Andrej Pejic, diventato dapprima top model maschile e poi femminile.
Ricordiamo ad esempio una sfilata celeberrima di un’importante maison, dove nell’assemblaggio di tantissime modelle donne, lui vestì un abito da gran soirè e nessuno lo riconobbe in passerella.
Possiamo quindi vedere come oggi la moda sia diventata molto fluida e più libera anche dal punto di vista della comunicazione, perché fortunatamente molti stilisti e appassionati del settore hanno capito che lasciare libera interpretazione all’essenza di una persona, porta ad una semplicità, a un modo di fare e ad una spontaneità in passerella che è proprio quell’elemento che riassume il concetto di moda odierna.
La moda sta acquisendo sempre di più un linguaggio genderless, e moltissimi sono gli stilisti che hanno fatto della fluidità di genere il punto di partenza delle proprie collezioni; credi che le passerelle possano essere il giusto canale di comunicazione per un messaggio così importante?
Oggi come ieri la moda si è evoluta, anche se in realtà la moda nasce già come evento evolutivo. Pensiamo ad esempio ad un abito: prima di essere confezionato e poi portato sulla modella in passerella, viene disegnato, viene abbozzato con gli spilli, viene assemblato con i tessuti e dunque è in continua evoluzione. Oggi quindi l’evoluzione del concetto di bellezza è all’ordine del giorno. La moda poi oltre ad essere un grande messaggio, è anche un grande veicolo di comunicazione; non a caso è stata sempre presa come evento mediatico contro la violenza sulle donne, contro l’omofobia, contro il razzismo, perché è un messaggio molto forte, la moda è un messaggio di tuono, che arriva.
Dietro una sfilata di moda c’è infatti il racconto di tante donne e di tanti uomini che lavorano e che si esprimono attraverso l’arte.
Pensi che la realtà dei social possa rivelarsi un’ alleata della bellezza? Oppure per la chiave di lettura che ne propone rischia di alterarne la percezione?
La comunicazione della moda stessa è cambiata anche attraverso l’era digitale e l’utilizzo dei social network. Sebbene la moda abbia sempre avuto questo lato comunicativo molto veloce, i social che si muovono altrettanto velocemente stanno contribuendo ad una comunicazione sì più rapida ma spesso anche errata; attenzione, errata non dal punto di vista comunicativo del giornalista che veicola la notizia della moda, ma errata dal punto di vista dell’interlocutore, cioè di chi osserva. Oggi molti ragazzi infatti non hanno quella cultura di captare una certa concretezza di quello che guardano, si limitano ad osservare e non ne ascoltano nemmeno il contenuto. Di conseguenza non riescono neanche a memorizzare quello che stanno guardando, poiché distratti dalle cose effimere e di poco credito che viaggiano sui social.
Il mondo del social e quello della carta stampata hanno poi un filo conduttore: il canale di diffusione che però si basa su concezioni comunicative diverse; negli anni settanta, ottanta e novanta la concezione comunicativa era diversa, un po’ standardizzata e si aspettavano con ansia le collezioni degli stilisti sulla carta stampata. Oggi invece con la velocità del web stiamo vivendo un periodo dove le sfilate sono in streaming, take away, veloci e alla portata di tutti. Dunque non si è persa la soluzione della comunicazione, si sono persi alcune volte i dettagli, lo stare attenti alle piccole cose.
In conclusione il web per alcuni versi ha aumentato l’appeal e il numero di appassionati del settore, ma se andiamo per numeri ha perso un po’ di qualità, perché tutto ciò che è nella carta stampata è un settore di nicchia, tutto quello che è nella parte digitale è un settore di massa.
Nella tua carriera come uno dei più importanti rappresentanti del fashion beauty made in Italy ma anche come apprezzatissimo formatore e docente di make up, quale aspetto del tuo lavoro pensi possa regalarti la maggiore soddisfazione?
Tra tutti i settori che diciamo mastico quotidianamente con il mio lavoro, non ce n’è uno in particolare che mi rende più o meno orgoglioso. Posso però dire che nel campo della formazione, nel quale opero da moltissimi anni, trovo molta soddisfazione nel trasferire agli allievi e nelle persone che formo, un messaggio: quello dell’entusiasmo per questo lavoro.
La mia più grande soddisfazione è quindi proprio lì, quando insegno, quando porto la mia arte in classe e la trasmetto ai miei allievi, affinché loro ne possano fare tesoro.
Infine vederli realizzarsi e raggiungere grandi traguardi è per me un’immensa gratificazione, perché se loro diventano grandi, io sono più contento di loro.
di Agnese De Martis
La moda coinvolge anche molte star del cinema, in questo articolo valutiamo i fashion look delle Star del festival di Cannes 2021.